L'amante di Giufà

Giufà, che gli antichi arabi rimasti nel nostro paese chiamavano Ggè, non era tanto stupido. Una volta Giufà, o Ggè, si era fatto un'amante, giovane focoso com'era di mente e di corpo. E l'andava a trovare quando poteva di notte, chè il marito lavorava sul mare come pescatore. La notte doveva essere fittissima, le stesse ombre erano una sola grande grandissima ombra che riempiva il mondo sino alla Cina. E lui, là dentro , toctoc, ziczic, mumumuh,faceva i suoi comodi con quella bella donna chiamata Gnèina.
Ma una volta il marito rincasato quando spuntava il giorno, e la grandissima ombra della notte piangendo si scioglieva, e qui e lì, e lì e qui, scintillando, s'accorse di tutto. Giufà si mise i pantaloni e con un salto si buttò dalla finestra che era bassa e dava in un campetto dove già era nato bellissimo il grano. E cosa fece quel birbante, uomo di corpo e di pensiero? Prese un ciuffo di spighe e cominciò a correre per il paese; e la gente, che allora usciva per andare a lavorare, vedendo quel Zuràt, come si chiamava il marito tradito, povero disgraziato!, diceva : " O Zuràt, per alcune spighe tu insegui questo giovane! Non ti vergogni? "
E quello, che aveva il viso in calore e l'animo in furore, voltandosi indietro rispondeva in araba lingua : " Li madrisc alè, igùl sbull " che significa supergiù : " Voi che non sapete, mi accusate per un pugno di spighe ".
La gente non sapeva proprio, ma Giufà aveva raggiunto il suo scopo facendo credere di essere inseguito per poche spighe di grano. La fiaba finisce qui, non va più in là.

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