ius soli - ius sanguinis
Premesso che nessuna delle due cose rappresenta un peccato o una virtù in base alla morale cristiana e al Catechismo della Chiesa cattolica, in linea di principio sono contrario allo ius soli e favorevole allo ius sanguinis. Per un motivo molto semplice: i bambini non nascono dal suolo, ma dal ventre delle loro madri. Crescerli ed educarli non è compito dello Stato, ma dei genitori. Padre e madre hanno il diritto e il dovere di crescere ed educare i figli secondo la storia, la cultura, i valori di cui loro sono eredi e che definiscono la loro identità. Da due italiani nasce un italiano, o un’italiana; da due tunisini nasce un tunisino, o una tunisina; da un tunisino e un‘italiana nasce un italo-tunisino, ecc.
Qualunque sia il paese nel quale le coppie sopra menzionate si trovino a vivere, e qualunque sia la legislazione vigente sulle nazionalità e sulle naturalizzazioni, nessuno potrà cancellare il fatto che l’identità nazionale di un bambino che viene al mondo è quella dei suoi genitori, oppure è una combinazione delle loro nazionalità se i genitori sono di nazionalità diversa. Quando un bambino viene dato in adozione a una coppia di italiani nel contesto di un’adozione internazionale, quel bambino diventa ipso facto italiano non perché va a vivere in Italia, ma perché coloro che si impegnano a offrirgli amore ed educazione sono italiani. I rapporti reali vengono prima delle determinazioni giuridiche astratte, come quella che stabilisce che chi nasce in un certo luogo ne assume per il fatto stesso la cittadinanza in quel momento storico vigente.
Lo ius soli assoluto vige nei paesi, come gli Stati Uniti, di recente formazione e nati da una colonizzazione che ha coinvolto persone di molte etnie diverse. In quel caso essendo il territorio “vuoto” e senza storia (i pellerossa avrebbero molto da ridire su questo, ma non hanno abbastanza forza per farsi ascoltare), lo stesso prenderà i suoi valori e la sua tradizione da chi viene ad abitarlo. Contrariamente a quello che pensano i progressisti italiani, in epoca moderna lo ius soli non sta a significare la preminenza della cultura del luogo su quella di chi immigra, che viene incorporato alla cultura dominante attraverso la cittadinanza, ma il riempimento di una identità vuota da parte di chi immigra. Gli Stati Uniti, dove vige una forma radicale di ius soli, sono stati a lungo un paese Wasp (white, anglo-saxon and protestant) perché Wasp erano la maggioranza degli immigrati. Poi hanno assunto il cattolicesimo nella loro identità attraverso gli immigrati italiani, irlandesi e polacchi. Poco più di 35 anni fa la componente ispanofona ha messo il turbo, e oggi negli Usa ci sono 41 milioni di persone che parlano spagnolo come loro prima lingua, quando nel 1980 erano solo 11 milioni. Gli Usa sono diventati un paese che è anche latino.
In linea di principio, lo ius sanguinis indica una preminenza dei rapporti reali su quelli astratti: riconosco la cittadinanza italiana a un figlio di italiani perché confido che gli trasmetteranno la lingua e la cultura che storicamente hanno costituito l’identità italiana, beni che la cittadinanza mira a proteggere insieme ad altri diritti della persona. Storicamente lo ius sanguinis è praticato da popoli di origine antica (o che si pensano tali) che hanno con fatica creato istituzioni politiche sovrane in un determinato territorio, e a partire dalla sovranità su quel territorio riconoscono diritti di cittadinanza a tutti coloro che presentano le caratteristiche identitarie di quel popolo, anche se nati fuori dai confini. È il caso dell’Italia e della Germania, del Marocco e di Israele, ecc.
Se l’Italia dovesse approvare la legge attualmente in discussione al Senato, nel nostro paese verrebbe introdotta una forma temperata di ius soli accanto allo ius sanguinis, che resterebbe vigente. Secondo il testo di legge un bambino nato in Italia avrebbe diritto alla cittadinanza se almeno uno dei due genitori è cittadino Ue e si trova legalmente in Italia da almeno cinque anni. Se i genitori non provengono dall’Unione Europea, oltre ad avere il permesso di soggiorno da almeno cinque anni almeno uno dei due deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, un alloggio idoneo e superare un test di conoscenza della lingua italiana. Inoltre potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico, elementari o medie. I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.
Perché ci sarebbe bisogno di questa innovazione? I sostenitori della proposta invocano due motivi: perché occorre mettere fine alla discriminazione fra bambini stranieri nati in Italia e bambini italiani, e per facilitare l’integrazione dei bambini stranieri. Tutte e due le motivazioni appaiono discutibili. In Italia bambini italiani e bambini stranieri hanno gli stessi diritti civili e possono accedere agli stessi servizi: scuola, sanità, assistenza sociale in caso di povertà, ecc. Di più: in Italia italiani e stranieri possono godere degli stessi diritti umani fondamentali. Come scrive Rocco Todero su Il Foglio, «oggi gli stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese godono di tutti i diritti e le libertà fondamentali consacrate nella Costituzione repubblicana. Si va dal naturale riconoscimento di tutte le libertà cosiddette negative, come quelle di circolazione, manifestazione del pensiero, associazione, religione, alla tutela dei principali diritti sociali di prestazioni quali il diritto al lavoro, alla pensione, all’assistenza sociale, all’istruzione, alla sanità, agli assegni sociali e all’invalidità civile». L’unica cosa che agli stranieri manca è il diritto di voto, ma in compenso non sono tenuti ad assolvere quanto richiesto dall’art. 52 della Costituzione: sono esentati dal “sacro dovere” della difesa in armi della patria italiana. Quanto al secondo argomento, quello dell’integrazione, è evidente che la cittadinanza dovrebbe essere la conclusione di un percorso integrativo e non un qualcosa che viene conferito all’inizio, a scopo di incoraggiamento.
Quali sono allora le vere ragioni che spingono la sinistra ad accelerare su questo tema? Anzitutto c’è una ragione ideologica: l’ossessione per l’uguaglianza. I progressisti si sentono in colpa e vogliono che tutti gli italiani si sentano in colpa e si vergognino per il fatto che persiste una diseguaglianza fra i minorenni italiani e i minorenni stranieri che vivono da tempo in Italia, la disuguaglianza di cittadinanza. Anche se tutti i diritti umani e civili fondamentali dei bambini stranieri sono rispettati e promossi, la diseguaglianza di cittadinanza appare ai loro occhi intollerabile come la differenza che hanno cercato di eliminare con l’istituzione delle unioni civili, o la differenza legale fra il consumo di alcolici e il consumo di cannabis che desiderano cancellare, o la genitorialità che vorrebbero estendere a tutti i tipi di coppie, ecc. Non si rendono conto che in questo caso il loro egualitarismo ha il sapore del disprezzo per la cultura e la nazionalità altrui. È come se dicessero: “Poverini, gli tocca restare marocchini, gli tocca restare albanesi, è intollerabile!”. Ma chi ha stabilito che la nazionalità italiana è così superiore a quella egiziana, o peruviana, o filippina, che negarla troppo a lungo a qualcuno diventa un delitto di lesa civiltà? Dopo tante prediche multiculturaliste, il velo del politically correct cade e si vede quello che i progressisti pensano veramente: le altre nazionalità sono talmente inferiori alla nostra che prima ne liberiamo gli stranieri e meglio sarà per tutti.
Poi ci sono ragioni più pratiche. Una è quella che vede nell’accelerazione delle naturalizzazioni la via maestra per riequilibrare il deficit demografico italiano e quindi per risolvere il rebus pensionistico dell’Italia dei prossimi decenni. Un demografo serio come Giancarlo Blangiardo ha spiegato e rispiegato che questa idea è sbagliata. I deficit demografici e le loro conseguenze sulla struttura pensionistica di un paese non si riequilibrano, il prezzo degli errori fatti si paga senza sconti, e se si crede di risolvere il guaio intensificando l’immigrazione si rinvia di poco il redde rationem e lo si appesantisce un altro po’. Perché anche gli immigrati invecchieranno e bisognerà pagare loro la pensione, e poiché mediamente avranno versato meno contributi degli italiani, il tesoro pubblico dovrà accollarsi altri pesi. Senza poi dimenticare che anche gli immigrati, dopo qualche anno che sono in Italia, abbassano sensibilmente il loro tasso di fecondità al punto da contribuire al deficit demografico italiano anziché alleviarlo. Evidentemente ci sono problemi economici e politici che spingono la natalità in Italia verso il basso, problemi che valgono sia per gli italiani che per gli immigrati, e l’importazione di esseri umani dall’estero non è una soluzione.
Probabilmente la vera ragione per cui il governo di sinistra vuole introdurre una legislazione di ius soli riguarda non i minorenni, ma i loro genitori: per un bambino straniero in Italia non cambia niente avere la nazionalità italiana subito piuttosto che a 18-20 anni, ma per i suoi genitori la cosa può fare una grossa differenza. Chi ha un figlio divenuto italiano non potrà essere allontanato dall’Italia perché è rimasto disoccupato e quindi non gli viene rinnovato il permesso di soggiorno, o perché dopo tanti anni di ricorsi la sua domanda per essere riconosciuto come rifugiato è stata respinta. Un minorenne con la cittadinanza italiana vale tanto oro quanto pesa per la sua famiglia che la cittadinanza italiana ancora non ce l’ha. Perché credete che in Europa arrivino attraverso l’emigrazione illegale tanti minorenni non accompagnati? Sono minorenni, non possono essere espulsi, le famiglie di origine contano nel tempo di ricongiungersi a loro in terra europea.
Il governo di sinistra evidentemente vuole captare la benevolenza politica di questi immigrati, e in prospettiva il loro voto. Dal punto di vista utilitaristico degli uni e degli altri, lo ius soli pare dunque un buon affare. Ma è buono veramente, per le famiglie di immigrati e per l’Italia in generale? C’è da dubitarne assai. Un figlio che diventa italiano prima del genitore non è una buona prospettiva per un immigrato: questo fatto potrebbe accentuare il distacco generazionale, alimentare un’estraneità fra genitori e figli. L’integrazione di un ragazzo immigrato al mainstream italiano senza la mediazione familiare può avere esiti socialmente perversi. Dall’Olanda arriva una lezione su cui riflettere, portata alla mia attenzione dal direttore dell’Istat olandese Kim Putters. Costui, ex senatore socialista non sospettabile di pregiudizi etnici o razziali, mi spiegava che se si vanno a vedere le statistiche dei due gruppi di immigrati più numerosi in Olanda, marocchini e turchi (entrambe le comunità contano circa 400 mila unità), i primi risultano più integrati dei secondi: sono più secolarizzati e parlano meglio l’olandese.
Eppure il 70 per cento dei marocchini ha problemi con la legge prima del compimento del trentesimo anno di età per reati contro il patrimonio o a sfondo sessuale, mentre il tasso di criminalità dei turchi è identico o inferiore a quello degli olandesi autoctoni. A proteggere i giovani turchi da passi falsi non è l’integrazione, ma il suo contrario: la coesione familiare, l’introversione del gruppo, il relativo isolamento dal resto della società, l’essere più turchi che olandesi in tutti i sensi. Per avere uomini retti e buoni cittadini la famiglia, cioè il sangue, è più importante del suolo.
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